Volevo scrivere del terremoto, del master in corso, di emozioni, di fatti ed auto gialle.
Ed invece sto qui, con un'idea strana di contrasto, di opposti che si attraggono, di contrapposizioni che si inseguono come l'entusiasmo incosciente segue la paura paralizzante. E si fanno Uno.
Sono qui con coppie di pensieri a braccetto, che niente hanno a che spartire l'uno con l'altro:
merendine e pane semplice, campagna e grattacieli, desolazione e movida, malattia e leggera superficialità, musica e vuoto, silenzio e baccano, animali e lastre di lamiera, fessure e lucchetti, sogni ed illusioni.
Un sacchetto unico. Dividere, ordinare, pulire, per poi accorgermi che tutto sta nello stesso sacco di iuta, in cui si mescola affetto e rancore, pensiero e ignoranza, curiosità ed apatia.
La sensazione netta che le divisioni, le definizioni e i concetti non siano che sciocche parole astratte, concretizzabili, ma senza senso.
Gli occhi di uno sfollato, il portafoglio gonfio di un manager, le mani di un bambino a scavare nel cassonetto, le gambe di un pazzo, i pensieri di un paralizzato, i dubbi dei vincenti, le piccole certezze conquistate tra un fallimento e l'altro. Le certezze sgretolate, l'arroganza insensibile, la povertà ricca e quella arricchita e persa. La serenità ritrovata d'improvviso, dietro una curva, al pensiero di travi di legno di mansarda e tavoli spaziosi di fantasia. I soldi e la carta macinata a striscioline. I parcheggi vuoti e le buche profonde. Gli eroi, gli assassini con un perché e quelli senza scuse, i vigliacchi, gli eterni sinceri. Le bugie tra le righe e quelle che implorano verità. La luce al mattino che si diffonde inesorabile ed è giorno. La notte che ci oscura i colori, senza cancellarli. Un mondo che ci accoglie con meraviglia tenera, che non piange di fronte alla morte, né esulta senza controllo di fronte alla vita. Lacrime e sorrisi sono solo nostri.
O solo non conosciamo troppi linguaggi e ci sentiamo sensibili, quando semplicemente non capiamo e ci sfugge il senso di questo minestrone.
O solo niente. O solo tutto.
C'è che penso che ci sia posto per tutto. Per tutti. Qui nel mondo, qui dentro di noi. Posto per sentirci vivere bene e godere follemente del bene che osserviamo, a cui possiamo partecipare o solo sfiorare. C'è posto.
Ma a capire qual è il nostro, a smussare gli spigoli, ad amare veramente ci mettiamo una vita. O due. O chissà quante ce ne serviranno per aprire gli occhi nel presente e dire: "Ancora!"