martedì 5 aprile 2011

controluce

La stanchezza buona, a volte, trascina in un abisso di dormiveglia pesante, che ti costringe a chiudere gli occhi ed osservare inerme il tuo subconscio giocare col tuo istinto, ancora e ancora.
Quando ci si addormenta così, non è sempre chiaro dove si è quando ci si sveglia. Né che ore sono.
Si accorse di come una casa diventi familiare molto prima di conoscerla veramente. Inspirò avida il profumo particolare che l'avvolgeva: sapeva di passione, di incensi e quotidiano, mentre il silenzio raccoglieva echi di sussurri lontani, il respiro del legno e del vino rosso nei bicchieri quasi vuoti. Sentiva la tenue luce del giorno scaldarle un piede, ma non sapeva invadere la pace di quel momento disturbandole gli occhi. Tutto, così intimamente, creava una bambagia morbida in cui lasciarsi cullare ancora un po'. Quel posto senza nome le apparteneva, come la dolce sensazione che le davano i muscoli indolenziti e rilassati a contatto con le lenzuola fresche.
Percepì la familiarità dei suoi piedi scalzi attraversare piano la stanza e fermarsi. Socchiuse un occhio e lo vide, trattenendone furtivamente la sagoma, scura contro la finestra. Tornò a fingere di dormire sentendo salire alle labbra un sorriso impercettibile. Presto sprofondò di nuovo in un sonno che sapeva più di vita che di riposo, portando con sé quell'ultima immagine impressa sulle palpebre chiuse e con essa la foga appassionata e allegra, i sottintesi, la complicità e la tenerezza spensierata sotto i polpastrelli. E di nuovo quella sagoma buia, che ovunque avrebbe riconosciuto senza saperla raccontare e che ora la stringeva a sé, senza svegliarla.

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