domenica 29 maggio 2011

l'eleganza del riccio

L'altro giorno mi son fatta 20 km in bici a tutta velocità, così tanto per dirmi che almeno le mie gambe funzionano come si deve, in un periodo in cui ad assentarsi spesso è il cervello. Quel megalomane.
Beh, comunque, sfreccio a manetta su una strada stretta di campagna e sento una risata: è identica a quella di mia cugina.
Di riflesso rallento, mi giro: vedo delle ragazzine giocare e scherzare insieme e mi sfugge un sorriso e mi si accavallano i ricordi.

Sì, è vero, quella risata è identica a quella di mia cugina. Ma la mia cugina di un tempo. La bambina dispettosa che conoscevo: tremenda e poco sensibile ai miei pensieri seppure avessi cinque anni di meno. Così diverse da sempre. La stessa che giocava con me volentieri, che mi aveva insegnato a cantare "La gatta" di Gino Paoli, mentre imparavo che le unghiette dei micini sono dolci come il loro miagolio; quella con la carnagione scura e le tette grosse che mi son sempre domandata come facciamo ad esser parenti, quella che dalla nonna era sempre in ciabatte e che ammiravo follemente quando ero alle medie, per come affrontava il mondo a muso duro e in modo spudorato. La matta che, quando ha iniziato a fare l'infermiera, voleva fare le prove sul mio braccio, perché avevo le vene perfette per un prelievo (ma soprattutto odiava ed odia siringhe e medicine - vai a capire perché questo senso sadico del fare agli altri qualcosa che odia su di lei).
Quella che rideva di gusto, una risata contagiosa, bella, che credevo d'aver dimenticato.
Dimenticato perché non la sento più ridere. È rimasto del formalismo, ci si saluta e ci si fa gli auguri alle feste comandate. Le battute di sempre vengono scambiate: "Oh, hai cambiato i capelli.. ma sempre magra, sei tu.. ma non porti più gli occhiali.. ma qui, ma lì" ma alla fine di nulla si vuole parlare. Io rispondo, certo, ma se posso evito di imbrigliarmi in discorsi che sento poco spontanei. I regali stessi finiscono per infastidirmi quando ora mi sento dire "Guarda che ho speso niente per questo, anche perché non ci sono mai i soldi". Che importano i tuoi regali se nemmeno stiamo davvero parlando? Tienili pure i tuoi preziosi soldi. Perché farmi sentire anche debitrice nei tuoi confronti, mi chiedo? Poi ragiono e sorvolo. Non importa.

Forse tutto è partito dai soldi, da discussioni che solo tra parenti diventano così grigie e inesorabili, problemi che coinvolgono anche senza essere i diretti interessati. Forse i soldi sono sempre e solo un pretesto per altre povertà malcelate. Contrasti, a cui nemmeno so dare un nome, hanno svestito una situazione che apparentemente pareva di confidenza e sincero scambio, ma che nel tempo si è dimostrata altro, sfaldandosi da sola.
In fondo ci ho creduto o c'è stato questo darsi qualcosa in passato, ma poi quelle risposte scattose che ricordo nell'infanzia, quella rabbia che a volte sentivo su di me e non capivo, quei silenzi a cui davo poco peso, quelle battute secche ed invidiose che combattevo con l'ironia, si son solidificate nell'età adulta e si è creato un divario, quando non avevo più voglia di fingere che andasse bene così, quando era anche lei stufa di quella commedia. Mi dicono di andare oltre, di provare sempre a recuperare i rapporti ed è un atteggiamento che ormai mi viene spontaneo. Eppure io evito con tutta me stessa la formalità, in un modo che mia mamma definisce drastico. Non ho mai amato scoprire qualcosa per poi ricoprirlo, se qualcosa cambia, cambia: non c'è da disperarsi, ma nemmeno da  ignorarlo.

Non è neanche questo il problema. Mentre continuavo a pedalare decisa, ho ricordato cosa ha allontanato le nostre famiglie, mi son fatta delle domande su come una bambina riccioluta e solare, immersa però in una storia pesante, sia diventata così insensibile e rabbiosa più tardi. E infine fredda e quasi spietata, nel senso di assenza di empatia. Così chiusa al mondo.
Penso a come probabilmente fin da piccola si difendeva dalla vita, dagli eventi, rivedo il suo viso freddo come un sasso quando voleva ferirmi, intoccabile, per poi crollare in crisi di pianto improvvise, che la squassavano come un temporale in agosto. Ricordo i miei tentativi di capire, di intaccare quel gioco di rabbia, sofferenza e difesa. Per sollevare il velo di menzogna che si stava adagiando su tutto per protezione, forse, o solo perché aveva trovato spazio.
Nonostante questo, poco ho potuto. Forse perché ero una bambina, forse perché dipendeva molto anche da lei e dai miei zii. Mi manca quella risata, quel rapporto che forse si sarebbe costruito. Forse.


Forse è solo che al lavoro un bambino ha lanciato una scarpa nel cortile della casa vicina e che sua mamma si è arrampicata per riprenderla. Forse è che aveva paura ed era stanca ed incazzata. Forse le era andata male la giornata. Forse è che credeva di rompersi un piede saltando giù dal cancello, mentre il bambino lo teneva fermo, terrorizzato all'idea che si facesse del male.
Fatto sta che, saltata giù, ha esclamato: "Fanculo, a tutti e tre!", rivolta al figlio, alla bambina di 7 anni e al nipote.
Forse è che mi son sentita mancare il cuore allo sguardo della bambina, che proprio nulla aveva fatto, ma che ha incassato il colpo col cipiglio di chi ci è abituato da tempo.
Mi è mancato il cuore a vedere il bambino abbracciarla, visibilmente scosso.
Mi è mancato il cuore a vedere il nipote indifferente, quasi estraneo a tutto.
Tre bambini, tre reazioni diverse. Non si vede mai subito quando si rompe qualcosa dentro e in quanti pezzetti va in frantumi e cosa toccano, cosa intaccano nel cuore, nei gesti, nei sogni.
Così la battuta l'ho fatta: "Ehi M., ma non avevano mica fatto nulla, poi S. era qui tranquilla!"
E S. immediatamente le si è attaccata ad un braccio, cercando una carezza e ha detto: "Sì, mamma, non ho mica fatto nulla, io!" E sono andati via, tutti e quattro insieme, come macchie di colore che chissà come si mescoleranno, ancora.

Forse è che vorrei non pensare che mia cugina, in un contesto diverso, con l'aiuto adeguato, potrebbe essermi antipatica per motivi sani di incompatibilità e basta. Forse è che non vorrei sentire nel profondo la strana sensazione che sia ancora lì, a difendersi da qualcosa.

7 commenti:

  1. Mi colpisci ogni volta che leggo un tuo post! Questo l'ho riletto tre - quattro volte..i temi son tanti! La vita è una scuola a volte abbastanza dura, soprattutto per chi è più sensibile...insegna a procurarci le difese, gli anticorpi atti a preservarci dagli attacchi futuri...insegna a superare i distacchi, da qualsiasi cosa originati, ed insegna anche a capire quei distacchi...la loro origine prossima e la loro causa remota...ma la fregatura maggiore è che non avremo contezza di tutti gli insegnamenti finchè non avremo posto in mezzo del tempo...tanto tempo! Ancora oggi io riesco a comprendere appieno il senso di avvenimenti accaduti 30 - 40 anni fa... Lo so, non è bello, ma è così - a volte. Rimangono i ricordi...Conservali gelosamente!!! Un abbraccio

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  2. È vero, Nicola, il tempo permette di saper guardare al passato e capire cose che allora non si potevano capire. Io, però, non penso sia una fregatura non avere una visione immediata delle cose: lasciar decantare gli eventi serve anche a permettere loro di entrarci dentro, di dirci qualcosa. Altrimenti è come un buon film che apprezzi al momento e poi dimentichi. Ho scoperto di preferire di gran lunga il casino momentaneo, se serve a costruire una chiarezza d'insieme, anche se dopo molto tempo. E i ricordi, sì, vanno conservati, senza lasciarsene sopraffare! Un abbraccio a te!

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  3. Proust, nella sua "alla ricerca del tempo perduto" afferma che il tempo annulla tutto, cambia tutto. E' vero in parte, secondo me. Il tempo inevitabilmente muta le cose, specie le persone. Ci si indurisce, la vita si porta via la leggerezza e la spensieratezza dell'infanzia. Io ho cugine che sono sorelle per me. E' però tangibile il cambio di pelle subito. Piccoletta è tenero il ricordo che hai di tua cugina, così come il desiderio -non tanto inconscio- di tenderle la mano. Però, fidati, se senti un muro è perchè quel muro c'è. e non buttarlo giù, non oltrepassarlo, è anch'esso un modo per rispettarla. Marianna

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  4. Ciao Marianna :) Bentrovata!
    È vero che il tempo cambia tutto, ma forse per lasciare l'essenziale, se c'è. Le solide fondamenta devono esserci e allora, anche se tutto cambia, la stabilità profonda rimane.
    In realtà sono molto distaccata da mia cugina, per mia scelta e proprio per quello che dici: sento un muro e non intendo forzarlo a cadere, a meno che non siamo entrambe a dimostrare di essere contro di lui. Credo che i miei ricordi mi abbiano solo portata a non provare più rabbia verso quello che siamo ora, ma a sentire che ho fatto quel che potevo e che le voglio in fondo molto bene per aver condiviso dei momenti insieme. Ora che il tempo ha fatto evaporare certe tristezze che salgono dalle ferite. Ti abbraccio, buona giornata!

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  5. Il rancore, la rabbia sono sensazioni destinate a svanire quando le fondamenta (come dici tu) sono fatte d'amore. Un bacio. sempremarianna

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  6. Escribes muy bien. Tu blog a "preferiti".

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