venerdì 14 ottobre 2011

At par?

Se c'è una cosa che la vita insegna è che, per ogni istante di attenzione prestata a qualcosa, qualcos'altro perderà il tuo sguardo. Ci son quelle persone per cui ti pieghi in due, le cerchi, ti lasci spezzare perché sono loro e niente al mondo ti distoglierà da quella fatica di amare senza ritorno, né dallo sguardo che ti si fa dolce proprio in quella direzione e non in un'altra. Ci sono persone che ti cercano con l'amore tra le mani e ti investono di un'adorazione che, però, non basta a farti volgere lo sguardo.
Poi ci sono sguardi che si ricambiano. Gesti che ne chiamano altri in risposta, sentieri che vanno attraversati insieme e nessuno sbarramento merita la nostra paura. Come se ci fossero persone che alzano gli occhi quando lo facciamo noi e l'incontro è pulito, netto. Qualsiasi regola ti sia stata accollata addosso, perde il suo significato assoluto, fino a che quell'incontro non avviene. E deve avvenire. Più lo rifuggi e più ti insegue e ti si ripresenta sorridente alla porta.
E così vaghiamo senza saper per dove e quando è il momento e come fare e che senso abbia. Ed è tutto uno scoprire, imparare, cadere e arrivare, ripartire e credere e disilludersi e crederci di nuovo, con nuovi segni addosso. Che anche le cicatrici si trasformano in rughe.

Tutto questo si frantuma di fronte a quegli sguardi di prima. Alle parole e ai silenzi nati in quegli incontri a cui prestiamo attenzione. Quelli che, quando la prospettiva cambia, ti accorgi che ti mancano dentro come l'aria, come lo scorrere del sangue nelle vene e la pelle che ti si rigenera addosso. E ti mancano lì, proprio nell'istante in cui ti distrai un attimo e credi che riguardare basterà a riportarle lì. Come quando aspetti che il treno parta, per coglierne l'attimo e sempre, immancabilmente, ti rendi conto che si muove sempre un istante prima di quando ne hai coscienza.
L'attenzione ci viene meno in certi momenti, non possiamo evitarlo. Anche per le persone che resteremmo a fissare una notte intera e tutti i giorni a venire, solo per il piacere di guardarle. Ma alla fine le palpebre si chiudono, per potersi riaprire, e cedono. A volte ritrovano un paesaggio del tutto nuovo al loro risveglio. Ma quelle persone non le dimenticano. Gli occhi devono sapersi chiudere, ma non dimenticano ciò a cui hanno prestato attenzione.

11 commenti:

  1. Ho notato anche io l'assenza del commento di Erba. Mi sembra strano che Sara l'abbia cancellato per motivi "ideologici", non credo proprio, non vorrei. Un "ciao" non si rifiuta a nessuno, nemmeno in presenza di rancori (che non so se ci siano, è un'ipotesi). I tuoi post ultimamente sono tristi, vira.

    RispondiElimina
  2. I miei post sono miei, al massimo puoi virare dal leggerli, France.

    RispondiElimina
  3. Non era un modo di mandarti via, solo un modo di mantenere il mio stile. Non mi va di rattristare, ma di scrivere (anche così) ho bisogno.

    RispondiElimina
  4. E poi non era così triste questo post. Era riflessivo. Sono una pentola di pensieri, ma le noto bene le cose belle, sai?? :)

    RispondiElimina
  5. confermo, riflessivo
    ma con una punta di malinconia, che non fa male ;)

    RispondiElimina
  6. Basta pensare a tutte le porte chiuse, alle cose mancate, scansate. Non basterebbe una vita.
    La verità è che mettiamo avanti le priorità e poi, di fronte all' ineluttabile, l'aria manca.
    Però tu, piccola, hai visto. E' ciò che conta.
    Ti stringo.

    marianna

    RispondiElimina
  7. Ti stringo forte anch'io, ariMarià! Grazie.

    RispondiElimina