Il bello di stare a tavola insieme è raccontarsi; col cibo che ti nutre, mentre lo scambio ti sazia.
Quando esce fuori lo spirito cantastorie di mio papà, poi, finisce sempre che c'è da ridere e riflettere, scoprire realtà che sembrano infinitamente lontane. È certo una lontananza mentale, visto come tutto sia cambiato in pochi anni, ma anche temporale. I miei nonni paterni avevano una generazione di differenza da quelli materni. Mia nonna era del 1902, mentre l'altra del '25. Una generazione di scarto, insomma. Tante storie di vita sentite raccontare sembrano appartenere a canovacci di teatro.
Così oggi mi è venuto in mente un quadretto che ogni tanto ritorna. Protagonista la sorella di mia nonna, che era del 1891. Fa proprio strano scrivere una data del genere che non sia per un compito di storia, eppure me zia Maria de me nono Antonio è presente più che mai nell'ironia che appartiene alla famiglia, ma soprattutto nella tenerezza dei ricordi. Affetto concreto verso una persona mai conosciuta. Forse a questo servivano i racconti di padre in figlio, seduti nella stalla a lavorare insieme, i canti delle donne, le filastrocche. Trasmettevano qualcosa di non conosciuto, tanto da fartelo entrare dentro, da renderlo tuo. Piano piano.
La zia Maria, figlia di un falegname vedovo e con sei fratelli; famiglia di persone che hanno conosciuto il lavoro, l'agiatezza che non ha nulla a che fare coi SUV, quella che ti fa vivere discretamente senza bisogno di chiedere aiuti. O di digiunare. Poi la guerra e la povertà più nera. Buona gente, si dice.
Mancavano di certo moltissime cose. Ce n'erano altre.
Essere educati, per esempio, era fondamentale. Non importava la fame, il desiderio, non importava il carattere. Di certo era ben chiaro che comportarsi bene venisse ben prima ed era così per la società, per tutti. La facciata spesso non era solo facciata, era proprio una dignità, un abito con cui presentarti e per cui ti si apprezzava. Pro e contro di questa cosa ce ne son stati, ma era così.
E mi immagino la zia bambina: sei sette anni, che si trova a cena, ospite, da amici di famiglia. Da sola. Sguardo basso rispettoso. Sorriso timido appena accennato. Il vestito buono per le feste. Composta sulla sedia, in silenzio. Mi immagino la fine della cena, gli scambi di parole gioviali, ma misurati e il padrone di casa che le si avvicina e le chiede:
"Maria, la vuoi un po' di marmellata? Ce l'han portata proprio ieri."
Lei, ed è come se la vedessi arrossire di pudore, risponde:
"No, grazie."
E sta in silenzio, ferma, da brava. Non moriva di fame, non ancora. Però di marmellate, seppure avesse la fortuna di conoscerne il gusto, non ne vedeva poi molte. Il suo no, deciso, non era che il rispetto dovuto a quella domanda, a quell'adulto gentile. E poi la vedo fremere, per sbloccare quel silenzio educato. Forse l'infantile desiderio che l'uomo insistesse fino a spezzare quel rito è più forte del rispetto. Forse il rispetto non si incrina affatto in questo modo. Dai miei occhi percepisco solo tenerezza. Mi sale una voglia di stringerla.
Ed è sempre bello riascoltare che non ha resistito, ha alzato la testa verso l'uomo per richiamarne l'attenzione e con voce sottile abbia chiesto:
"Scusi, me la può domandare di nuovo, quella cosa lì?"
Sorrido...
RispondiEliminaBellissimo ricordo.
Un sorriso per te, Euri! :)
RispondiEliminaUn commento a questo post nonè di poco conto...non investe solo il ricordo o un modo di essere, investe i mutamenti di costume...Non c'è solo la società che è cambiata...è accaduto in altre epoche, ma è cambiata la percezione stessa della vita...C'era, una volta, una ritualità che ti faceva avvicinare gradualmente alle cose, te le faceva quasi assaporare...una volta si usava chiedere "gradisce un...(cioccolatino, bichierino di qualcosa, ecc...)" oggi li si pone davanti, semplicemente. Sembra un dettaglio, è invece il cuore del problema: è la velocità a far da padrona, in connubio con un malinteso senso di democratizzazione... non ci devono essere perdite di tempo, risultanti da antiche ritualità...è lo stesso principio del corteggiamento, che una volta durava anni e si è ridotto a poche ore o giorni, è il principio del vestito nuovo, che si usava la domenica e si acquistava una volta l'anno se tutto andava bene...sostituito ora dallo shopping compulsivo....e così tanti altri esempi, che indicano come, alla centralità della persona si sia sostituita quella delle cose e del tempo.... Un bacione, cara la mia poetessa!!!!!
RispondiEliminaOh, è proprio vero. Solo 23-24 anni fa, ricordo che era più simile a quel che racconti. Il cambiamento è stato repentino e radicale. Ma si respira la voglia di tornare indietro. Anzi di andare avanti, ma tornando a rallentare, ad assaporare. E credo sia l'atteggiamento migliore che si può tenere, anche, per affrontare la crisi che ci sta attraversando. Un bacione a te, Nicola e grazie!
RispondiEliminaChe tenerezza!
RispondiEliminaCiao Espe! :)
RispondiEliminafantastici, i bambini sono sempre fantastici
RispondiEliminaVoglio venire a tavola con voi!
RispondiElimina@pieroal: Sì, fantastici e sorprendenti.
RispondiElimina@xe: Carissima.. sei la benvenuta! Ma mio papà racconta principalmente in dialetto. Pronta?? :D
RispondiEliminaCopio il commento di Espe: che tenerezza!
RispondiEliminaAgata
Un abbraccio, Agata!
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