lunedì 17 ottobre 2011

(E)virare

Pensavo a Roma, a come una manciata di buzzurri abbia vanificato il movimento di una massa enorme e pacifica. Che poi, vanificato. No, non l'ha vanificata. È che le telecamere son puntate male. Certo che per essere una che porta gli occhiali da quando aveva cinque anni accorgersi solo ora di quanto sia importante il punto di vista... fa ridere.

È che siamo troppo abituati a pensare che ciò che non vediamo è perduto.

Da piccola, piccola da non saper leggere, chiamavo come una forsennata perché, dopo la sigla del cartone, qualcuno venisse a leggermi il titolo della puntata. Il sapore del cartone cambiava molto da quel particolare. Non ci ho mai pensato ma è un po' come se fossi stata certa di non capirci nulla del cartone, senza leggere il titolo. A pensarci la metà dei cartoni che guardavo erano censurati, per cui era facile non capir niente tra una scena e l'altra: mancavano sempre scene di sesso, che davano senso alla reazione dei personaggi. Perché cavolo tutti ce l'avevano con Georgie l'ho capito in età avanzata.
E io che credevo fosse un problema di titolo. Di partenza.

Vedere Roma a ferro e fuoco mi ha messo rabbia, tristezza, molte cose. Ma soprattutto quella sensazione che si ha in classe quando il prof si incazza perché uno fa un disastro in aula e lui diventa il centro di tutto. E così si perdono lezioni a sentire il professore che si sfoga e dice che la classe non lo segue, che non c'è impegno, che non accetterà mai più volontari, che si stava meglio quando si stava peggio. Che è deluso.
Il bello è che gli studenti son già delusi, lo eravamo già, incazzati pure noi perché eravamo seduti sui banchi e lì, è vero che ascolti, aspetti e devi rispetto, ma è anche vero che sai di non aver il potere di dire del tutto la tua. Meglio: per la prima volta devi rivelare te stesso, trattenendoti in base a regole non da te decise, né sempre capite.
Quello che c'è di profondamente ingiusto è che farsi ascoltare pacificamente è molto più difficile che non prendendo ad accettate il banco. Questione di priorità. Questione che, chi sta zitto al primo banco, pare non abbia niente da sistemare dentro di sé.
Poi succede che sei adulto e vuoi dire la tua, sai che per la società conti un po' più di uno studente seduto in aula. Ma anche no. E così ti organizzi e vai a Roma e in tanti ci vanno. Tanti vuol dire un mare. E ancora una manciata di persone fa il cattivo tempo. E non è un gioco. È come un gioco, ma con armi vere, con fuoco vero e sangue. E tu ti aggrappi a quei cappucci che non ti appartengono, perché a te va proprio di mostrare la tua faccia, sei stanco di gente che tace perché in fondo tutti nascondono qualcosa.
Non è vero. Con tutto il mio pudore, non nascondo nulla.
La gente avrebbe bisogno di un sistema che la protegga, di prof che non si perdano una classe per elucubrazioni su una sola persona, di una nazione che apre gli occhi sulla massa, su quella che ha il coraggio di mostrarsi per quello che è, che ha difetti e oscurità che la rendono bella quanto i suoi pregi, che si schifa di chi si nasconde, di chi fa violenza, di chi approfitta del dolore. Di giornalisti che chiamano vigliacchi, i violenti, che hanno il coraggio di togliere la telecamera da una scena sanguinosa che può far audience, per raccontarla e basta, in modo distaccato ed avvicinarsi invece alle parole di chi ha il diritto di parlare, di chi è stanco per davvero, di chi è italiano ed è deluso perché in quest'Italia ci ha creduto tanto e ora, non solo non ha nulla: non sa più nemmeno se sperarci.
Il danno, la beffa. Ecco, gli ultimi vent'anni son stati una beffa, una beffa amara. Ma non mi interessa.

È davvero ora di virare.


6 commenti:

  1. Ok, viriamo! Cazza la randa!!!

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  2. Ok! Canda la razza.. randa la cazza.. insomma, fai quel che devi, ma giriaaaaaaamooo che qui, se no, finiamo maleeeee!

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  3. Hai ragione, ma non c'è niente da fare, è così... Se davanti ad un po' di gente tu parli educatamente di un argomento e io ti sparo un rutto belluino in faccia, gli ascoltatori guarderanno me, si metteranno a ridere, o a condannare la sottoscritta e non ti cagheranno più. Parleranno di me, di quanto sono alternativa o di quanto sono maleducata. E io avrò semplicemente tirato un rutto...

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  4. Proprio così, Annù. E si finisce per parlare di rutti in tv e a dar loro un significato diverso da quello che hanno. Se dici rutto con tono dignitoso, pare che diventi qualcosa di diverso da quello che è. Come c'è chi, siccome è in giacca e cravatta, crede di meritare il mio rispetto. E invezze..

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  5. Eppur sapervi avvilite di inadeguate “scuole” che declinano al superficiale interpretare tra le righe dimostra ancor più, se possibile, la vostra "grandeur"…
    Viriamo si, infine. Cronache personali mi narrano “non comandante”, ma saprò esser fido compagno di viaggio e, alla bisogna, vedetta.
    (chiedo scusa dello stile… inadeguato, cerco solo di farmi capire).

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  6. Ciao Marco, ci sta bene una vedetta, a bordo. E di comandanti ce n'è bisogno senza che siano sempre le stesse facce ad impersonarli. Possiamo esserlo tutti, per un po', il comandante e anche mozzo, all'occorrenza.
    Buona giornata!

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