venerdì 25 novembre 2011

Revolución

Qualche giorno fa, ascoltando il sociologo Giuseppe De Rita ad Otto e mezzo, mi si son chiarite dentro delle riflessioni, che avevo in testa da un po' di tempo, sul perché la popolazione italiana continua a non reagire, a non fare la sua rivoluzione, a non lottare per la propria dignità.
De Rita parla di imborghesimento senza borghesia. Come dire: siamo poveracci trasformati in borghesi solo grazie a cellulari, schermi al plasma e ad un'auto di proprietà. Poveracci impastati di status symbol più o meno costosi ma diventati, fino a qualche anno fa, alla portata di molti. Ora il risveglio tragico dal sogno.

L'impressione che ho è che questa rivoluzione non s'ha da fare, perché nessuno ha voglia di farla, di spezzarsi un'unghia, di alzarsi dal divano, rompere la routine, di restare senza pc e magari senza cellulare, pur di innescare il cambiamento. Mi sembra di sentire l'eco della generazione dei miei genitori, che ha fatto conquiste per se stessa. Una rivoluzione, ora, sembra ammettere che i passi in avanti non sono stati decisivi, né così incisivi. E poi la rivoluzione è roba da morti di fame, è un affare che smuove dei muscoli che si stanno rattrappendo e appiccica fastidiosamente i vestiti alla schiena. Un brutto affare che scuote dalle viscere e toglie il sonno in nome di un sogno. Chi ci crede più? Non abbiamo più il fisico per un altro '68. Abbiamo già dato. E toccherebbe a noi, alla mia generazione, cresciuta ascoltando i consigli - a volte confusi - di chi ha conosciuto la povertà e di colpo si è ritrovato nel boom economico. Noi, che dovremmo lanciarci con le consueta avventatezza dei giovani, cresciuti in un limbo tra prudenza verso pericoli ormai obsoleti e la furbetteria incalzante negli anni dell'economia del consumo. Paure un po' inculcate e un po' naturali, certezze mal riposte. Generazione, la mia, tenera, inconsapevolmente ingrata, sballottata tra ciò che si può e quel che si deve, ma soprattutto quel che piace - che bisogna far solo quello che ci piace - ma non troppo che poi si diventa egoisti, ma non troppo poco che poi pare di tornare ai sacrifici di stampo cristiano, che proprio non si possono vedere. E via discorrendo. Noi splendido risultato di una schizofrenia splendida, in parte causata dall'inesorabile velocità di un progresso che ci ha travolti ben prima di conquistarci. 
Vince chi corre, non chi si domanda perché lo stiamo facendo e si ferma a pensare. E a correre ci si accorge solo di non poter arrivare sempre primi, a meno che non si inizi a spingere o fingere o accontentarci di non arrivare mai alle mete, spesso proposte da qualcun'altro. La rivoluzione non nasce spontanea in una generazione con un peccato originale sulle spalle: la fortuna di avere tutto e non sapersene che fare, una generazione che spesso tutto non lo ha voluto, ma che se l'è trovato tra le mani lo stesso.

Qui, proprio qui, nell'infanzia della mia generazione, piazzateci poi un tizio con grossi complessi sul suo aspetto fisico, che sfoga la frustrazione rubacchiando da imprenditore e infogna con anni e anni di idiozie il Paese. Convincendo una massa enorme di persone che va tutto bene, finché va bene a te. Che rubare è legittimo finché non ti beccano. Che, se ti beccano, basta negare fino alla morte e tutto s'aggiusta. Il genere di panzane a cui crede uno struzzo che infila la testa nella sabbia e crede di non essere visto. Ma c'è sempre un risveglio. Se poi da dietro arriva un gorilla ingrifato, il risveglio diventa amaro e molto doloroso.

E poi ci sono i piccoletti. La nuova generazione che mi si è aggrappata a gambe, braccia e cuore, quando sono andata a trovarla, la generazione che mi insegue con un origami in mano e lascia biglietti giganti con cuori e stelline, pregandomi di tornare. Faccine serie e concentrate che vogliono solo che tu stia lì. Puoi essere chiunque, ma devi dimostrarglielo che sai voler bene, se no sei solo un altro adulto confuso da accettare con rassegnazione, ché dagli esseri umani tutto può essere accettato e assorbito, ma ha i suoi effetti. Quella stessa faccia che ogni bimbo fa, quando si accorge che l'essere umano non è affatto al centro come si dice. Ma lo si dice ancora? Una generazione razionale, con spolverate di cinismo spicciolo e disillusione che sa di delusione, specchio di adulti che sorridono a comando e spengono la speranza prima che arrivi agli occhi, prima di lasciarcisi toccare il cuore. Anche questa una generazione che ha avuto tutto e, come la mia, non avrà una pensione, né certezze. Né interiori né esteriori.
Anche da questa generazione ci si aspetta la rivoluzione un giorno. Ma come? Perché? 

Ogni generazione sente, in fondo, di essere un po' in trappola, colpevole senza ragione e lotta per le proprie libertà. Chi un tempo aveva sul tavolo ideali e sogni e un futuro, però far l'amore era roba da agenti segreti. Una caviglia scoperta e girava la testa e il peccato e la passione e la mini e i reggiseni lanciati. Ma poi, ma poi c'è chi c'è nato senza quei freni e gli sfugge il senso di quel cambiamento e sta scavando oltre. Chi, giovane oggi, si ritrova così abituato al nudo imposto da chi lo bramava, da non rabbrividire nemmeno più al pensiero dell'intimità. Che se ne fa di un nudo chi ha perso i cinque sensi? Il sesso, che si fa merce anche nel quotidiano, non accarezza le cosce, non sfiora la fantasia.
La rivoluzione, oggi, dovrebbe toccare le emozioni, la voglia di aver sogni impossibili, di incantarsi e rallentare. Ascoltarsi respirare col proprio ritmo e ingoiare i fallimenti, abbracciare il piacere subitaneo e sincero, quello che ti sale dalle dita dei piedi, lungo i polpacci tesi e l'inguine pulsante, circonda l'ombelico, facendo battere il cuore e gonfiare i polmoni, allarga le spalle e muove le braccia e rilassa il collo, su, lungo tutta la spina dorsale e arriva alla testa, brulicante di desiderio e ragione e si specchia nello sguardo che impara a guardare il mondo per la prima volta.
La vera rivoluzione sta nel sorridere prima ancora di capire il perché. Sta nel volersi cambiati. Così tanto da cambiarci sul serio.


8 commenti:

  1. Pabelita, io non so come l'ha detto quel sociologo lì ma tu l'hai detto sicuramente meglio. Sorrido (dopo tre giorni tristi) a questo foglio e che a quei bimbi che un giorno, forse, grazie anche a persone come te faranno la revolución.
    xenuca

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  2. Di quali "conquiste per se stessa" stai parlando, riferendoti ai nostri genitori? Di quella per le cambiali per l'acquisto della 500 giardinetta? O della lavatrice? La generazione dei nostri genitori è stata il big-bang che ha dato il via a questo sfacelo. Grazie al voto di scambio, con il quale si sono tutti sistemati in banca, alle ferrovie, al comune, in Alitalia, negli ospedali, nelle forze armate, tutti carrozzoni guidati dalla DC e dai suoi galoppini che hanno usato questa sporca pratica per fare il loro comodo per 40 anni, e grazie alla quale ora noi (i loro figli) si ritroviamo letteralmente senza futuro perché, guarda un po', la pura matematica (che non è un'opinione) ci dice che abbiamo imboccato una strada senza uscita. La rivoluzione, in Italia? Ma per favore.

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  3. @Xenuca: Anch'io ho sorriso, di fronte a quel biglietto e mi son lasciata commuovere. È bello sentir sorridere anche te. Tre giorni tristi di seguito son tanti e ti abbraccio!

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  4. @John: Ciao, hai uno stile molto familiare, sai? Riguardo le conquiste, non intendevo dire che siano state realizzate, ma piuttosto che i 68ini abbiano creduto di farlo per poi adagiarsi, riparandosi nell'imborghesimento di massa che ha seguito quegli anni. Sento tutto il fallimento di quella generazione, ma anche gli ideali da cui tutto è partito, che non vanno ignorati, perché quelle lotte e quel periodo erano impregnati di sogni gridati che hanno tenuto i cuori accesi, nel bene e nel male. Forse il problema non è tanto il fallimento, il '68 non credo avrebbe potuto risolvere da solo la società italiana. È stato l'adagiarsi successivo, il credere di essere arrivati e aver fatto abbastanza. Lì è partito il declino, lasciando una voglia di evadere dall'impegno che si erano assunti, regredendo così forse per immaturità, forse per stanchezza o paura. Non lo so. Ma di certo la revolución può esserci in Italia. Perché no? Bisogna volerla e perché nasca ci vuole una purezza di valori che le nuove generazioni, tanto piene d'oggetti inutili, stanno riscoprendo. Ciò che manca prima o poi fa sentire la propria assenza, secondo me.

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  5. Quale sarebbe la borghesia di cui De Rita implicitamente lamenta la mancanza?

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  6. De Rita dice che l'Italia non ha borghesia. Ha operai, contadini, artigiani convinti di aver conquistato un benessere - solo apparente perché in realtà è dovuto alla facilità di raggiungere beni che un tempo erano elitari, ma il cambiamento non è stato anche culturale, con pretese culturali più alte. Parla di imborghesimento quindi. Apparenza che negli ultimi anni si sta facilmente sgretolando.

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  7. Il 68 è stato un impatto di massa con la cultura, ma gli individui sono entrati uno alla volta nella società che ne ha accettato solo i cambiamenti formali, individualmente incapaci di progettare un vero futuro ne sono stati travolti.
    Solo la storia percepisce i cambiamenti, il singolo è destinato ad essere travolto dagli eventi perché con la faccia troppo immersa nel presente e quindi incapace di avere il respiro necessario per vedere oltre il quotidiano.
    Ogni generazione vive questo, cambiando solo costumi e contesti sociali.
    L'economia, il denaro, regolano lo sviluppo sociale, solo concependo una umanità senza denaro riusciremo ad avere un vero cambiamento, una società in cui il vero valore sarà dato dalla qualità e non dalla quantità, una società rispettosa del mondo che calpestiamo per un breve passaggio e di cui abbiamo il dovere di lasciare incontaminato.

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  8. Hai proprio ragione, Max. Una cosa è la crescità di un Paese o in senso più ampio dell'Umanità, tutt'altro l'evoluzione dei singoli. A quanto pare la Storia non ci ha insegnato abbastanza da eliminare spontaneamente il metodo del consumo e dei prezzi, ma pare che ci stia in qualche modo trascinando in quella direzione. Scelta obbligata o necessaria. Solo quando sarà una scelta consapevole di molti, fatta capire ai bimbi e fatta crescere dentro di noi, quel cambiamento avverrà in modo globale. Per ora ci si deve accontentare di singoli che vogliono liberarsi. Un abbraccio :)

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