mercoledì 29 febbraio 2012

Tutto scorre: pure noi.

Mi stavo dimenticando. L'adrenalina, la foga, l'aggrapparsi organizzato agli eventi, fino ad affrontarli. L'odore fastidioso del treno e il suo rumore familiare. Il biglietto obliterato e il brivido insensato alla nuca quando passa il controllore. Il percorso lungo un muro che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. Che fa tanto Montale, ma qua e là mostra squarci di oltre. La salita, la curva e la fabbrica di studenti, sempre lì col suo parcheggio pieno e facce sconosciute, più giovani.
Come ti senti? Fuori posto? In ritardo?
No, oggi non mi va. L'atrio immenso. Ti possono guardare dall'alto, ma che importa, nessuno mi conosce. Sicura del percorso del passato, esco dall'altra parte, verso un distretto meno frequentato, ma denso di ricordi. Al piano verde, mi avvolge l'aroma di un caffè versato a terra, davanti la macchinetta. Corridoio buio, silenzio. Lunga chiacchierata, ascolto, annoto, capisco, respiro. Di nuovo, respiro, rispondo. Quante cose, quante cose. Eppure non sono così tante. In tanti le hanno fatte senza farsi sopraffare. No, non mi agito oltre, non faccio cadere nulla. Saluto a voce alta e chiara. Un cenno e chiudo la porta.
La biblioteca. Farsi la tessera dopo tanti anni ha un che di buffo. Ora che sta per finire. Ma l'aspetto con pazienza e in cambio ho un libro. Lo tengo tra le mani. La copertina verso di me: non voglio mostrarmi erudita, è solo che non ho uno zaino. Cosa sono e chi sono? Cammino a naso in su, stasera ci saranno tre pianeti allineati con la luna, ma è presto. Cerco d'attraversare, ma demordo e torno indietro scegliendo le strisce e un'altra vecchia conoscenza: il deserto di un centro commerciale vuoto. Quanti pranzi e passeggiate. Amici. Stavo dimenticando il tempo e i pensieri che si erano impigliati e sono ancora tutti lì.
Cammino a casaccio, come facevo a volte, quando avevo tempo da perdere e tempo da far fiorire. Ho deciso che ho tempo da perdere e da cui lasciarmi guidare. Vedo il bar, ma lo scanso. Vado avanti. Atrio vuoto, negozi chiusi, falliti. Uno di telefonia resiste eroico. Vuoto. Una commessa probabilmente racconta su facebook il suo tempo passato ad aspettare. Una coppia di ultra ottantenni si tiene a braccetto. Lei lo rallenta, va verso una panchina e gli dice qualcosa con un fare da bimba. Indica avanti a sé e si sporge verso una vetrina di vestiti da sposa. Sorride. Dice qualcosa. Lui ascolta, la guarda calmo e si siedono. Mi intenerisco, ma vado oltre, decido per le scale mobili. Le ho sempre adorate. Il ronzio di un mondo che si abbassa e un altro che si avvicina. Ehi, ma è un bar? Entro e chiedo un caffè. Mi accorgo di essere nel bar di un multisala. Ma c'era anche un tempo? Sono nel bar di un cinema, senza l'intenzione d'andarci. Bevo, la signora sorride con tutta la giovialità del suo ferrarese che le sfugge dalle labbra. Non posso che sorridere forte anch'io. Altri due anziani, due uomini, stanno entrando. Sembrano conoscere la donna. Scherzano sulla vita che avanza, ma non li ha fregati abbastanza. Che bella luce hanno negli occhi. Un bastone saldo tra le mani del più curvo, l'altro scambia due parole. Tutto è sospeso. Un mondo vuoto, in cui il lavoro è attesa, pazienza. Ci sarà uno stipendio, almeno, per tutta questa solitudine o solo tanto tempo per pensare e scambiare parole, forse. Chissà. Che vuol dire il lavoro, poi? È quel che facciamo? O è più quello che siamo mentre facciamo?
Torno indietro. Scendo. Esco. Guardo negli occhi. L'aria sa di stagno. La riva del fiumiciattolo è sporca e una donna sulla sella della bici si protegge la bocca mentre parla al cellulare. Parla russo, sembra. Chissà da cosa si nasconde. O è solo pudore che ho dimenticato.
Anni e anni. Per cosa, poi? Per godere dello stesso panorama con più quiete, dentro? Lo stesso osservare assente e totale. Insieme. Come se ogni cosa fosse solo al suo posto. E non fosse fuori, ma dentro. In un posto mio. Nostro. Alzo gli occhi. Eccole lì: tre stelle in fila. Che son pianeti. Ma che importa.
È proprio bello, ecco tutto.


12 commenti:

  1. Ho letto solo adesso i tuoi ultimi due post. Sono uno più bello dell'altro.

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    1. Ma grazie, Je! :) È un piacere trovarti di passaggio! Ti abbraccio.

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  2. Un vortice di pensieri che non riesce a stare fermo, rallenta e si ferma solo un attimo davanti al cielo.

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    1. Ehi, Max! :) Mi sorprendi: detta così fa molto "Notte stellata" di Van Gogh. Grazie!

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  3. inanzi tutto grazie per avermi lasciato il link del tuo blog..non ho mai saputo che tu ne avessi uno..poi complimenti per i contenuti..

    Oggi ho scoperto un pianeta nuovo dove posso rifugiarmi quando ho bisogno di compagnia..passerò a leggerti con piacere..ti abbraccio fortissimo..Ale (Io_ribelle)

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  4. Ale.. benvenutaaa :))) Grazie. Eh beh, visto il tuo momento di pausa, volevo lasciarti un luogo di contatto! A presto allora, ricambio l'abbraccio!

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  5. C'è sempre un buco dentro di noi un vortice capace di rapirci staccarci dalla realtà e trascinarci sul fondo, ma che cosa è poi la realtà, non siamo forse noi e il nostro mondo interiore?
    Già il nostro mondo, le nostre emozioni, passioni, quando ci sentiamo soli e incompresi e tutto quello che ci circonda è contro di noi, un incubo che sembra non passare mai.
    Il nostro vissuto, le nostre esperienze passate spengono tutti i segnali che possano solo avere una parvenza di positività, è come avere dentro una giornata di pioggia, è talmente dentro di noi che finiamo per amarla, l'angoscia che ne nasce pervade tutto il nostro essere, in questo caos continuiamo a precipitare solo noi, il dolore è solo nostro, la solitudine è solo nostra, nessuno ci può capire, nessuno ci può aiutare.
    A volte, in certi momenti della nostra vita ci sentiamo veramente così, degli stracci da buttare, il nostro fondo è sempre disposto ad accoglierci, ad certo punto della propria vita ci si accorge di avere molte cicatrici, ma ho raggiunto una piccola certezza... fuori c'è quasi sempre il sole.

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